Pubblicato da: luigivassallo | 23 marzo 2024

Due vecchi all’osteria

Un vecchio tavolino all’ osteria. Due sedie traballanti. Due vecchi, forse più vecchi del tavolino. In silenzio. Sul tavolino un bicchiere di vino pieno a metà. “È mezzo pieno o mezzo vuoto?” chiede uno dei due. “Io non vedo neppure il bicchiere” risponde l’ altro.

Fuori comincia a piovere. Dentro l’ osteria torna il silenzio.

Pubblicato da: luigivassallo | 2 marzo 2024

E’ Pasqua, è Pasqua!

E’ Pasqua, è Pasqua!

La voce dalla TV mi arriva sempre più fioca ed ovattata, mentre il mio corpo sprofonda nella poltrona abbandonandosi al torpore del dopopranzo.

Gli italiani si preparano a una Pasqua blindata in casa… Continuano le disdette delle prenotazioni per il vaccino a seguito delle morti di alcuni vaccinati… Luna Rossa è stata battuta definitivamente dai neozelandesi…”.

Mia madre sta trafficando in cucina disponendo con cura nei ruoti (a Nola le teglie si chiamano ruoti) l’impasto che ha preparato nei giorni scorsi e che ha lasciato lievitare sotto un’apposita coperta di lana che da anni riserva a quest’operazione. Ogni ruoto contiene un “casatiello”, una sorta di panettone dolce: ce n’è uno per me, uno per mio fratello, uno per una nostra commarella e uno più grosso per tutta la famiglia. E ci sono ancora altri due o tre ruoti in cui finirà l’impasto per le pastiere napoletane, una per noi, l’altra o le altre per amici o parenti.

Le mani sapienti di mia madre sistemano nei ruoti casatielli e pastiere dando loro una forma accattivante e segnandoli con un segno della croce, creando un legame sacro e simbolico tra il lavoro di quelle mani, i frutti della terra (grano dolce macerato, farina, uova, ricotta ecc.) e la Pasqua di Resurrezione, che si annuncia di lì a qualche giorno quando la festa religiosa nella chiesa si completerà nella sacralità della festa gastronomica a casa, dove, prima di compiacerci e soddisfarci della lasagna e dei dolci preparati da mia madre, mia nonna benedirà tutti noi spruzzandoci addosso con un rametto di olivo acqua benedetta portata dalla chiesa.

Oggi è venerdì santo. Fra poco mia madre mi manderà dalla nostra salumiera a infornare i ruoti coi dolci nel forno a legna, ma prima traccerà con un chiodo su ogni ruoto un segno noto solo a lei, affinché nessuna delle comari del vicolo, che da anni gareggiano a Pasqua a chi produca il casatiello o la pastiera migliore, possa portarsi via come proprio uno dei suoi ruoti, per vantarsi, una volta tanto, di essere stata a Pasqua la più brava in cucina.

È venerdì santo. Mia moglie sta trafficando in cucina, ma non si dà da fare con i casatielli, che non ha avuto modo di apprezzare da ragazza o da giovane, come invece ho fatto io: sua madre era una brava insegnante nel suo lavoro a scuola, ma era piuttosto maldestra in cucina. Mia moglie si cimenta con la pastiera, che ha imparato a preparare stando accanto a mia madre, la quale, forse, temeva di lasciare il suo primo figlio nelle mani inesperte di quella giovane nuora e allora si dava da fare per trasmetterle buone nozioni di culinaria. Così mia moglie è diventata brava nel preparare pastiere, ma non proprio come mia madre. Probabilmente mia madre non le ha trasmesso tutti i suoi segreti, un po’ perché non usava ricette scritte, un po’ perché non voleva che la nuora la soppiantasse completamente nei piaceri della vita del proprio primo figlio. E così mia madre si è portata nella tomba un po’ dei suoi segreti e, per quanto mia moglie si dia da fare ai fornelli, sono rimaste inarrivabili le patate fritte e la pastiera di mia madre.

Oggi è venerdì santo, non si sentono i rintocchi delle campane: i battagli sono stati fasciati con teli in modo che le campane possano emettere solo suoni sordi e smorzati e le ore delle varie funzioni religiose sono annunciate dal sacrestano, che gira per strade e vicoli del nostro quartiere agitando una cassetta di legno in cui una pallina, sbattuta di qua e di là, emette rumori sordi.

Il sacrestano continua ad andare in giro, indifferente al suono sordo della cassetta, perché, essendo sordomuto dalla nascita, nessun suono, né sordo né squillante può interessarlo.

E noi bambini o ragazzi siamo sufficientemente sadici per prendere in giro la sua sordità, tirando di nascosto le corde delle campane in modo che squillino quando non è ora oppure nascondendoci nei confessionali della chiesa la sera quando lui chiude tutto, per poi uscire e lasciare aperta la porta della chiesa, sicché al mattino a lui non resta che imprecare senza parole contro chi gli ha giocato quello scherzo.

Nella settimana santa, mentre mia madre è impegnata a creare capolavori culinari, io sono impegnato come chierichetto nelle funzioni religiose, assistendo, con altri bambini o ragazzi, il sacerdote nella celebrazione dei vari riti. La parte che ci piace di più è quella di addetti ai candelabri, una sorta di lunga canna di metallo che porta in cima una candela accesa. Due chierichetti li impugnano come lance per tutta la celebrazione. Ma ci siamo inventati un gioco, per dimenticare il fastidio di restare in ginocchio per tutto il rito: ogni tanto stacchiamo le mani dal candelabro e lasciamo la canna di metallo in equilibrio sul pavimento sulla sua piccola base. Perde quello la cui canna crolla a terra per prima.

Il sacerdote celebra con le spalle ai fedeli, perché solo fra diversi anni una riforma dei riti introdurrà la celebrazione col volto verso i fedeli. Eppure don Andrea, il nostro parroco, quando rientreremo in sacrestia non sbaglierà mai a individuare il “colpevole” del candelabro caduto e lo gratificherà con una “carocchia” sulla testa, cioè con un pugno dato con la nocca del dito medio.

Finalmente è domenica: si “scioglie la gloria”, si liberano i battagli dai teli, si ripone per l’anno prossimo la cassetta di legno, le campane annunciano festose che Cristo è risorto e che a pranzo mangeremo cose buone, mai viste durante l’anno.

E domani, lunedì, ce ne andremo a godere la pasquetta. Partiamo, un gruppo di ragazzini, ognuno con una sacca con dentro un rustico (impasto di uovo sodo e pezzetti di salame) e una pizza di spaghetti fritti nelle uova. Quasi sempre dimentichiamo di portarci da bere, ma non dimentichiamo un pallone: rigorosamente di plastica, non uno vero di cuoio, perché costerebbe troppo.

Ce ne andiamo sulla collina di Cicala, dove dicono sia nato Giordano Bruno. Quando sarò grande e mi dedicherò a studi di filologia greca e latina, scoprirò che Cicala non c’entra niente con le cicale ma è solo la pronuncia un po’ storpiata dell’espressione greca “ghe kalè” che vuol dire “bella terra”.

Ed è veramente una bella terra questa collina di Cicala verso la quale ci inerpichiamo. Tranne quella volta che ci sbarrò il sentiero un mulo ostinato, sfuggito al suo padrone o forse mandato proprio da questo contro di noi perché gli eravamo antipatici. E così dovemmo scendere per la china e risalire per un altro versante.

E, dopo aver consumato la merenda consegnataci dalle nostre mamme, tutti sullo spiazzo del castello diroccato a giocare col pallone di plastica, immaginandoci di essere uno di quei calciatori di cui collezioniamo le figure Panini. A volte, per arricchire la nostra collezione, scambiamo le figure tra noi inventandoci una sorta di borsa valori, nella quale ognuno tenta di alzare il valore di scambio delle proprie figurine e di abbassare quello delle figurine degli altri. Oppure ce le giochiamo, le figurine, in vari giochi di abilità.

E così, sullo spiazzo del castello diroccato, ci sentiamo campioni di calcio, fino a quando il pallone di plastica, calciato con troppa forza da uno di noi, precipita giù per la china, tornando alla nostra Nola molto prima di noi.

“Luigi… Luigi… Dormi ancora?”. È mia moglie che mi chiama dalla cucina. “Mi dai una mano nelle pulizie di Pasqua?”.

Apro gli occhi a fatica nella poltrona, ma so già che quella di mia moglie non è una domanda, è solo il travestimento retorico di un comando. Se non mi credete, provate a risponderle NO.

Pubblicato da: luigivassallo | 5 febbraio 2024

La casa non è solo stanze, arredi, pavimenti lucidi o scrostati. La casa è soprattutto la famiglia. Una casa elegante resta fredda e inospitale se è abitata da una famiglia sconvolta dai litigi. Una casa umida, vecchia, difficile da pulire è calda e accogliente se è abitata da una famiglia unita anche nelle difficoltà. Da bambino ho abitato in una casa vecchia, con poca luce, senza riscaldamento, con un bagno senza doccia né vasca da bagno. Ci ho abitato fino a quando mi sono sposato. Quella casa la ricordo con nostalgia perché mi ricorda la mia famiglia, in cui non mancavano le baruffe ma dominava la solidarietà tra noi, tra me e mio fratello, tra mio padre e mia madre, tra loro e noi figli. Quando ci trasferimmo altrove per lavoro, mia moglie, io e i nostri due figli piccoli, abitammo diversi anni in una casetta arredata alla buona.

L’acqua calda e il riscaldamento erano assicurati da una bombola sul terrazzino. A ogni cambio di stagione aiutavo mia moglie a spostare i vestiti negli scatoloni, accumulati sull’armadio, troppo piccolo.

In questa casa siamo vissuti felici, al netto di malumori di una figlia che scontava i disagi dell’ adolescenza.

Poi passammo in una casa di nuova costruzione, finalmente nostra, finalmente funzionale, nella quale abbiamo visto crescere i nostri figli e camminare i nostri nipoti. 

Ora siamo rimasti soli, mia moglie ed io, e la casa ospita soprattutto i nostri ricordi, le nostre gioie per le notizie dei nipoti, il nostro senso di impotenza quando sentiamo che nella famiglia di uno dei figli la solidarietà va in frantumi e i litigi esplodono all’ improvviso.

Uno si vuole illudere che, se abitasse in una bella casa, la vita scorrerebbe serena e non si rende conto che, se il legame familiare fosse intriso di amore reciproco, qualunque casa apparirebbe bella. Come appunto ho avuto la fortuna di sperimentare da quando sono nato fino ad oggi che sono a un passo dal congedarmi dalla vita.

Pubblicato da: luigivassallo | 5 febbraio 2024

La cuccia

Oggi mi va di rintanarmi nella mia cuccia. Non ci vado quasi mai, ma oggi ne ho voglia. Forse perché l’ umidità che c’è nell’ aria mi spinge a cercare un abbraccio accogliente. Non posso avere nostalgia delle zampe di mia madre in cui rannicchiarmi perché mia madre non l’ ho conosciuta. Le prime carezze le ho avute da un volontario del canile che mi trovò che cercavo calore nella rumemta di una discarica. Poi dal canile mi portarono in questa casa i miei padroni attuali e con loro non mi mancano le coccole. Stamattina però sono usciti presto, avevano qualcosa da fare. E allora mi accontento della cuccia e aspetto che tornino per rifarmi con le loro coccole.

Pubblicato da: luigivassallo | 23 gennaio 2024

Mani rugose, segnate dagli anni

Mani rugose, segnate dagli anni. Conservano il ricordo delle carezze che hanno regalato, delle lacrime che hanno asciugato, delle ferite che hanno medicato, dei vestiti che hanno rammendato, dei cibi che hanno cucinato, dei sogni che hanno stretto tra le dita per non farseli sfuggire.

Pubblicato da: luigivassallo | 23 gennaio 2024

Ora che la tazza era vuota

Racconto a più mani di Luigi Vassallo, Mariafranca Tripaldi, Mirna Costagli

AVVIO (Luigi Vassallo)

Ora che la tazza era vuota e che aveva finito di consumare la colazione che, come ogni mattina, la moglie gli aveva portato a letto, non aveva più scuse per non alzarsi. E però non sapeva più perché dovesse alzarsi. Era in pensione e non doveva correre in ufficio. Non c’erano più nipoti da accompagnare a scuola: erano ormai grandi e a scuola, chi al liceo, chi all’ università, ci andavano da soli. Anche nelle faccende domestiche che la moglie, anche se erano rimasti solo loro due, insisteva a sbrigare ogni giorno, lui era più d’impiccio che d’aiuto. Che si alzava a fare?

PRIMA CONCLUSIONE (Mariafranca Tripaldi)

Questa era la domanda che si poneva, ma dalla prospettiva del letto in cui continuava a stare vedeva una mosca che era rimasta intrappolata tra la tapparella ed i vetri della finestra .Di primo acchito la minuscola figura della mosca, investita dal raggio di luce della fessura della tapparella gli era sembrata un essere vivente non ben identificato, inforcati gli occhiali e stringendo bene le palpebre più l’aveva vista: era una mosca prigioniera. A quel punto doveva alzarsi per liberare la mosca? O ne avrebbe atteso la morte? Eh no! Non poteva essere indifferente nè per sè nè per quell’animale. Allora di getto si levó dal letto rischiando fortemente un capogiro, si recò alla finestra e liberò la mosca, ingrata che non lo degnó nemmeno di una nuovo “ tap” sul vetro a mó di saluto . L’uomo giró lo sguardo allla sedia che ospitava i vestiti preparati che avrebbe voluto indossare, superò la sedia arrivó all’armadio, tiró fuori l’abito delle feste ed una camicia dai colori sgargianti che la moglie non gli aveva mai consentito di indossare perché diceva non essere adatta alla sua età , li pose sul letto, li ammiró nella singolarità dell’abbinamento, e decise . Dopo la doccia sarebbe uscito di casa per ammirare tutto ciò che c’era intorno con uno sguardo nuovo, disincantato e forse triste ma anche “ accogliente “. Aveva una nuova missione : occuparsi di sè come non aveva mai fatto, a partire dal salvataggio della mosca.

SECONDA CONCLUSIONE (Mirna Costagli)

Però quella mattina un motivo per alzarsi da letto c’era. Ci rifletteva da giorni, era indeciso, aveva anche pensato di lasciar perdere: in fondo che differenza poteva fare lui? Eppure, una vocina dentro di lui bisbigliava che lasciar perdere, quella volta, no, non era da lui. Allora si alzò, si vestí lentamente, si fece la barba con cura, annodò con gesti incerti la cravatta che la moglie aveva scelto per lui dal cassetto (era più brava di lui ad accoppiare i colori), poi la guardò sorridendo e le chiese: “Allora, sei pronta? Oggi dobbiamo andare a votare”

Pubblicato da: luigivassallo | 19 gennaio 2024

Un fumo da un comignolo

Che sarebbe stata una rigida giornata invernale se ne accorse subito uscendo da sotto le coperte che gli avevano assicurato il tepore per la notte, che, come al solito, aveva preferito trascorrere sul divano anziché nel letto.

Si affrettò a caricare la stufa con la legna che aveva in casa. Accese qualche fiammifero per far prendere fuoco alla carta appallottolata e ai rametti che, a loro volta, avrebbero dovuto infiammare i tronchetti più grossi.

Aspettò che la fiamma guizzasse sicura verso l’alto prima di aggiungere qualche tronchetto che avrebbe dovuto garantire la diffusione in casa di un piacevole tepore. Poi uscì in giardino a prendere altra legna dalla catasta che aveva accumulata nei mesi scorsi in previsione del freddo invernale.

Alzò la testa verso il comignolo e si sorprese a guardare un po’ incantato la nuvola di fumo che ne usciva. Quella nuvola gli faceva sentire l’intimità di una casa accogliente e lo riempiva di un moderato piacere di vivere. Poi pensò che quella nuvola era tutto ciò che restava della legna che aveva messo nella stufa e finì col meditare che anche i suoi sogni di una volta erano andati ormai tutti in fumo.

Raccolse una bracciata di legno in giardino e rientrò in casa.

Pubblicato da: luigivassallo | 14 gennaio 2024

2 febbraio 2006

La sera del 2 febbraio 2006 ero nel dojo a Finale ligure per la pratica di karate. all’improvviso il sensei interruppe i nostri esercizi dicendo “Fermi tutti. Luigi è diventato nonno”. Un applauso di tutti i praticanti accolse quest’annuncio.

Ero entrato nel dojo che ero per alcuni Luigi, per altri il marito di Carmen, per altri il padre di Soleada e Salvatore, per altri il preside. E ora ero nonno, non sapevo ancora se di un nipote o di una nipote.

Il sensei aveva ricevuto la telefonata da sua moglie che era andata con mia moglie a dare una mano alle ostetriche che assistevano Soleada nel suo parto in casa. Dopo un po’ il sensei comunicò che si trattava di una bambina.

Pubblicato da: luigivassallo | 14 gennaio 2024

Il carrettino dei gelati

Il carrettino dei gelati della mia infanzia. Appariva d’improvviso nelle strade e annunciava ufficialmente l’ arrivo dell’ estate. In realtà non era dei gelati, quelli li compravo al bar. Era della  “grattata”: il venditore grattava con un raschietto una colonna di ghiaccio e raccoglieva in un bicchiere di metallo i frammenti di ghiaccio. Poi ci versava sopra un liquido colorato. E così con poche lire sognavi di gustare una delizia. 

Pubblicato da: luigivassallo | 14 gennaio 2024

In attesa dell’ultimo sipario

In quale tempo che fu lui aveva trovato l’ ardire di baciarla per la prima volta e lei aveva dovuto fingere di respingerlo mentre il cuore le batteva forte? Di una lunga vita trascorsa insieme da allora, vedendo crescere figli e nipoti, restava il ricordo silenzioso nell’ attesa che il sipario scendesse per l’ ultima volta, sorprendendoli ancora una volta innamorati. 

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